Con colpevole ritardo scrivo della morte di questo paladino della Tradizione e della Cristianità, imprigionato in patria e bollato all' estero dai soliti della gauche-caviar come Reazionario e Fascista:Aleksandr Isaevič Solženicyn. In realtà questo grandissimo scrittore andrebbe ricordato non solo per i suoi libri che raccontarono spesso gli orrori sovietici, ma soprattutto per le sue prese di posizione scomode che ebbe anche dopo la scarcerazione e l' arrivo in Occidente. Come la difesa dello Zarismo e della Monarchia come Idea di Stato. Del Cristianesimo come baluardo al materialismo ed al nichilismo trionfante in Occidente. Coraggiosamente attaccò il modernismo, compresa televisione ed i concerti che negli anni '70 erano spesso raduni per drogarsi e fare sesso promiscuo, negando i pilastri che per secoli avevano retto lo stesso Occidente, Dio, Patria e Famiglia: "L'anima umana desidera cose più elevate, più calde e più pure di quelle offerte oggi ala massa... dallo stupore televisivo alla musica insopportabile.". Non mancò poi di sbugiardare i pacifisti contrari alla Guerra del Vietnam, definendoli "complici del genocidio" che i Vietcong poi attuarono. Pur di attaccarlo, gli furono rivolte indegne accuse di antisemitismo ed anche dopo il crollo del comunismo russo, non ebbe timore di contestare il capitalismo estremo, l' oligarchismo e forme caricaturiali di Nazionalismo Russo e Neonazionalcomunismo come quelle di Vladimir Žirinovskij.
Per ricordarlo mi avvarrò di qualche sua citazione dal mio "Arcipelago Gulag" del 1974, tremila lirette che ad un liceale di allora come il sottoscritto erano tante.
Da buon NazionalCristiano, con innato il Rispetto del Nemico, non ha paura a pag. 94 di denunciare l' esodo e le persecuzioni razziali contro i Tedeschi del Volga durante la Seconda Guerra Mondiale; e nelle pagine precedenti gli inganni tesi ai profughi Cechi, Moldavi, Ucraini, Finnici e Baltici, per i quali l'alternativa era la Prima Linea oppure il Gulag. E, senza nessun timore, denuncia anche il trattamento riservato agli accerchiati, coloro che ritornavano stanchi e feriti dal Fronte, nel quale erano rimasti isolati nelle sacche; colpevoli di non essere morti, e trattati come nemici del popolo, invece che fatti riposare e rifocillati. E molti subirono allucinanti processi, dando inizio alla cosiddetta fiumana di traditori della Patria che popolarono i vari Gulag negli anni successivi. Persone colpevoli solo di non essere morte sotto l'occupazione nemica; oppure facenti parti di minoranze etniche, come i Calmucchi, i Ceceni, gli Ingusci, i Kabardini ed i Tatari della Crimea. O di rivendicare l' Indipendenza, come i Benderovcj Ucraini. Oppure essere state fidanzate con stranieri. O colpevoli come i bimbi e ragazzi di origine spagnola, giunti in URSS coi propri genitori dopo la sconfitta dei comunisti iberici.
Ed infine, da bravo Vandeano e Controrivoluzionario, non posso dimenticare come Solženicyn considerò l' origine di tutti i mali nella Rivoluzione Francese:
Onore alla memoria della resistenza e del sacrificio degl’insorti vandeani del 1793 contro la Rivoluzione
Due terzi di secolo fa, quand’ero bambino, leggevo già con ammirazione nei libri il racconto che rievocava l’insorgenza della Vandea, così coraggiosa e così disperata, ma non avrei mai potuto immaginare, neppure in sogno, che da vecchio avrei avuto l’onore di partecipare all’inaugurazione del monumento in onore degli eroi e delle vittime di tale insorgenza.
Sono passati venti decenni, decenni diversi a seconda dei diversi paesi, e non solo in Francia, ma anche altrove, l’insorgenza vandeana e la sua sanguinosa repressione sono state sempre di nuovo illuminate. Infatti gli accadimenti storici non sono mai compresi pienamente nell’incandescenza delle passioni che li accompagnano, ma a una discreta distanza, quando vengono raffreddate dal tempo.
Per molto tempo si è rifiutato di ascoltare e di accettare quanto era stato gridato dalla bocca di coloro che morivano, che venivano bruciati vivi: i contadini di una terra laboriosa, per i quali sembrava fosse stata fatta la Rivoluzione, ma che la stessa Rivoluzione oppresse e umiliò fino all’estremo limite, ebbene, proprio questi contadini si ribellarono contro di essa!
I contemporanei avevano ben colto che ogni rivoluzione scatena fra gli uomini gl’istinti della barbarie più elementare, le forze opache dell’invidia, della rapacità e dell’odio. Essi pagarono un tributo decisamente pesante alla psicosi generale, quando il fatto di comportarsi da uomini politicamente moderati, o anche soltanto di sembrarli, veniva già considerato un crimine.
Il secolo ventesimo ha notevolmente offuscato agli occhi dell’umanità l’aureola romantica che circondava la rivoluzione nel secolo diciottesimo. Di mezzo secolo in mezzo secolo gli uomini hanno finito per convincersi, partendo dalle loro stesse disgrazie, del fatto che le rivoluzioni distruggono il carattere organico della società; che danneggiano il corso naturale della vita; che annientano i migliori elementi della popolazione dando campo libero ai peggiori; che nessuna rivoluzione può arricchire un paese, ma solamente quanti si sanno trarre d’impiccio senza scrupoli; che generalmente nel proprio paese produce innumerevoli morti, un vasto impoverimento, e, nei casi più gravi, un degrado duraturo della popolazione.
Uno "slogan" intrinsecamente contraddittorio
Il termine stesso "rivoluzione" — dal latino revolvo — significa "rotolare indietro", "ritornare", "provare di nuovo", "riaccendere", nel migliore dei casi mettere sossopra, una sequenza di definizioni poco desiderabili. Attualmente, se da parte della gente si attribuisce a qualche rivoluzione la qualifica di "grande", lo si fa ormai solo con circospezione, e molto spesso con molta amarezza. Ormai capiamo sempre meglio che l’effetto sociale che desideriamo tanto ardentemente può essere ottenuto attraverso uno sviluppo evolutivo normale, con un numero infinitamente minore di perdite, senza comportamenti selvaggi generalizzati. Bisogna saper migliorare con pazienza quanto ogni giorno ci offre. E sarebbe assolutamente vano sperare che la rivoluzione possa rigenerare la natura umana. Ebbene, la vostra Rivoluzione, e in modo assolutamente particolare la nostra, la rivoluzione russa, avevano avuto questa speranza.
La Rivoluzione francese si è svolta nel nome di uno slogan intrinsecamente contraddittorio, e irrealizzabile: Libertà, uguaglianza, fraternità. Ma, nella vita sociale, libertà e uguaglianza tendono a escludersi reciprocamente, sono antagoniste: infatti, la libertà distrugge l’uguaglianza sociale, è proprio questa una della funzioni della libertà, mentre l’uguaglianza limita la libertà, perché diversamente non vi si potrebbe giungere. Quanto alla fraternità, non è della loro famiglia, è un’aggiunta avventizia allo slogan: la vera fraternità non può essere costruita da disposizioni sociali, è di ordine spirituale. Inoltre, a questo slogan ternario veniva aggiunto con tono minaccioso "o la morte", il che ne distruggeva ogni significato.
Mai, a nessun paese, potrei augurare una "grande rivoluzione". Se la Rivoluzione del secolo diciottesimo non ha portato la rovina della Francia è solo perché vi è stato Termidoro. La rivoluzione russa non ha conosciuto un Termidoro che abbia saputo arrestarla, e, senza deviare, ha portato il nostro popolo fino in fondo, fino al gorgo, fino all’abisso della perdizione. Mi spiace che non vi siano qui oratori che possano aggiungere quanto ha insegnato loro l’esperienza all’estremo limite della Cina, della Cambogia, del Vietnam, a dirci che prezzo hanno dovuto pagare, da parte loro, per la rivoluzione.
Le grandi insorgenze contadine .
L’esperienza della Rivoluzione francese avrebbe dovuto bastare perché i nostri organizzatori razionalisti della "felicità del popolo" ne traessero lezioni. Ma no! In Russia tutto si è svolto in un modo ancora peggiore, e in una dimensione senza confronti. Numerosi procedimenti crudeli della Rivoluzione francese sono stati docilmente applicati di nuovo sul corpo della Russia dai comunisti leniniani e dagli specialisti internazionalisti, soltanto il loro grado di organizzazione e il loro carattere sistematico hanno ampiamente superato quelli dei giacobini.
Non abbiamo avuto un Termidoro, ma — e ne possiamo esser fieri nella nostra anima e nella nostra coscienza — abbiamo avuto la nostra Vandea, e più d’una. Sono le grandi insorgenze contadine, quella di Tambov nel 1920-1921, della Siberia occidentale nel 1921. Un episodio ben noto: folle di contadini con calzature di tiglio (1), armate di bastoni e di forche hanno marciato su Tambov, al suono delle campane delle chiese del circondario, per essere falciate dalle mitragliatrici. L’insorgenza di Tambov è durata undici mesi, benché i comunisti, per reprimerla, abbiano usato carri armati, treni blindati, aerei, benché abbiano preso in ostaggio le famiglie dei rivoltosi e benché fossero sul punto di usare gas tossici. Abbiamo avuto anche una resistenza feroce al bolscevismo da parte dei cosacchi dell’Ural, del Don, del Kuban, di Tersk, soffocata in torrenti di sangue, un autentico genocidio.
Inaugurando oggi il Monumento della vostra eroica Vandea, la mia vista si sdoppia: vedo con la mente i monumenti che verranno eretti un giorno, in Russia, testimoni della nostra resistenza russa allo scatenamento delle orde comuniste. Abbiamo attraversato insieme a voi il secolo ventesimo, un secolo di terrore dall’inizio alla fine, terribile coronamento del Progresso tanto sognato nel secolo diciottesimo. Oggi, penso, crescerà sempre più il numero dei francesi che capiscono meglio, che valutano meglio, che conservano con fierezza nella loro memoria la resistenza e il sacrificio della Vandea.
Aleksandr Isaevic Solzenicyn
(Sabato 25 settembre 1993, in Francia, invitato dal presidente del consiglio generale di Vandea, Philippe de Villiers, lo scrittore russo Aleksandr Isaevic Solzenicyn ha presenziato all’inaugurazione di un monumento a Les Lucs-sur-Boulogne, dedicato, in uno dei luoghi più significativi del martirologio vandeano, a ricordare l’insorgenza popolare contro la Rivoluzione detta francese, una rivolta scoppiata appunto nel 1793. Dell’avvenimento ha dato notizia la stampa internazionale, soprattutto — evidentemente — quella francese. Il quotidiano parigino Le Monde, del 28 settembre 1993, ne ha fatto ampia cronaca, riportando anche il testo del discorso, pronunciato dallo scrittore di fronte a circa trentamila persone, con il titolo "Toute révolution déchaîne les instincts de la plus élémentaire barbarie" e sottotitoli. Il nuovo titolo e la traduzione sono redazionali.)
1 commento:
Ecco i commenti:
#1 08 Agosto 2008 - 08:53
Purtroppo sono sempre i migliori che se ne vanno...
Giuseppe82
#2 10 Agosto 2008 - 23:43
onore a questo GRANDE reazionario, antimoderno e vandeano. di cui, senza condividerne- io- il pensiero, apprezzo la statura intellettuale oltre al valore testimoniale della sua opera.
irazoqui
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