Ogni tanto, come sanno i miei pochi ma affezionati lettori, ricevo le visite di colti ed imparziali sinistri, tronfi delle loro certezze maturate in quel labirinto di inesattezze e faziosità che è la Rete. Dominata da sguaiati copiaincollatori che riescono a infiltrarsi nelle varie pseudo-enciclopedie del web che andrebbero invece filtrate con serietà. Questi sinistri, che appaiono e scompaiono con la velocità del fulmine, col ditino inseriscono nei vari motori di ricerca le parole chiave, eppoi, invece di controllare le notizie in libri veri, si ergono a severi critici del Ventennio ed ineffabili storici. Ora, io non vorrei troppo soffermarmi sul fatto che le solite cose sui presunti Crimini Italiani in Africa siano tratte sempre da scritti dei soliti Rochat,Rainero, Del Boca, Santarelli, tutti autorevoli storici di provata fede antifassista e democratica. No, vorrei solo fare alcune precisazioni in risposta ad un qualcuno che, evidentemente dimostra di saperla lunga.
Dunque, nelle sue ultime risposte nel post precedente, pur di far passare come criminali gli italiani, non esita ad ergersi strenuo sostenitore dell' Etiopia. Questo nonostante il mio richiamo al povero Tito Minniti, aviatore a cui è intitolato l' Aereoporto di Reggio Calabria. A questo punto è giusto riportarne la triste storia:
TORTURA E DECAPITAZIONE DELL'AVIATORE MINNITI
Dichiarazione di tre membri della missione sanitaria egiziana:
Il giorno 15 febbraio 1935-XIV E.F. negli uffici di redazione del Giornale d'Oriente, si è presentato spontaneamente il signor Abdel Mohsein El Uisci cittadino egiziano, dimorante al Cairo, gia addetto in qualità di aiuto farmacista alla missione sanitaria egiziana in Abissinia, il quale ha fatto a me Zamboni dott. Filippo fu Albino, alla presenza di quattro testimoni: Tozzi Cav. Ing. Latino, Albanese prof. Arduino, Malesci prof Pier Luigi, Subhi Uehedah, le dichiarazioni seguenti confermate categoricamente dagli altri membri della Missione, signori Kamel Aluned e Labili Salamah, che hanno raccolto testimonianze concordi degne di fede, in Etiopia. Abdel Mohsein Uisci sotto il vincolo del giuramento ha dichiarato: « Il giorno 24 dicembre alle ore 16 circa, mentre uscivo dalla tenda dell’ ambulanza egiziana, a Bolali, ho visto passare un gruppo di armati abissini, al comando del graduato Manghestu, che trascinavano un individuo in tenuta di aviatore, il quale aveva le mani legate dietro la schiena. Dovendo recarmi a prendere acqua nella vicina località di Bìr, mi posi in cammino seguendo la stessa strada degli abissini. Essi si fermarono non molto lontano e, dopo avere tolta la tuta all'aviatore, gli misero ì ceppi anche ai piedi e lo legarono ad un albero.
« Chiamato dal graduato Manghestu, che mi chiese una sigaretta, mi avvicinai e, incuriosito, mi fermai a guardare, non prevedendo certamente lo spettacolo orribile a cui avrei dovuto assistere. I soldati, mentre il graduato seduto a terra fumava la sigaretta che gli avevo dato, slegarono le mani al prigioniero e, tenendolo fermo, gli mozzarono le dita. Manghestu, finito di fumare, si avvicinò al disgraziato che urlava di dolore, gli rimise i ferri ai polsi insanguinati, gli tolse la giacchetta e la camicia e gli sputò in faccia. Uno dei soldati gli recise un ciuffo di capelli dietro il capo, come gli abissini usano fare ai delinquenti, e lo consegnò al Manghestu. Quindi all'aviatore vennero liberati i piedi e tolti i pantaloni che, essendo stretti in fondo, furono tagliati col coltello. Egli rimase così completamente nudo. Un soldato gli rimise i ferri ai piedi e inginocchiatosi - premendo con la testa il ventre del disgraziato per tenerlo fermo - gli recise gli organi genitali. L'aviatore diede un urlo straziante, mentre il sangue usciva impetuoso dalla spaventosa ferita. « A questo punto io che ero rimasto inchiodato sul poso dall'orrore, mi sono dato a fuggire verso la tenda dell’ambulanza. Colà incontrai l’infermiere Mohamed Hassan al quale, appena fui in grado di farlo, raccontai con voce rotta dall'emozione, l'orrendo spettacolo a cui avevo assistito. « Ambedue tornammo sul posto per prendere la borraccia che, fuggendo, avevo lasciato a terra. « Ma una scena ancora più orribile ci attendeva: il disgraziato, ormai cadavere, era stato slegato e coricato per terra, dove giaceva immerso in un lago di sangue, mentre il graduato stava scorticandogli il petto. Inorriditi e vincendo il timore che ci incutevano gli armati etiopici, domandammo al Manghestu perché si accanisse ancora sul cadavere. Egli ci rispose che con la pelle del morto aveva in animo di farsi lui portasigarette che avrebbe usato soltanto nelle grandi solennità. « Terminata l'orribile operazione, il cadavere venne sezionato. La testa ed i piedi vennero infilati nelle baionette, mentre si tentava di bruciare gli altri miseri resti con petrolio preso in un accampamento di cammellieri somali poco distante. Poi gli armati, di cui uno portava infilata sulla baionetta la testa dell’aviatore, altri due i piedi, a cui erano state tolte le scarpe, un altro ancora gli indumenti e il Manghestu infine gli organi genitali, presero posto in un autocarro che parti verso Dagabur, Giggiga, Harrar. « Il giorno seguente, portando i rapporti medici a Wehib pascià, gli narrai la scena orribile a cui avevo assistito. Egli, a onore del vero, si dimostrò assai dispiaciuto, ma mi raccomandò di tacere. Anche il mio compagno Mohamed Hassan raccontò il fatto al dott. Mahmu Izzet, il quale gli ordinò di non allontanarsi dall’ospedaletto. « Tre giorni dopo il fatto, il Manghestu fece ritorno a Bolali. Egli dichiarò di aver ricevuto festosissime accoglienze a Dire Daua e ad Harrar quando era giunto colla testa e con i genitali dell’ aviatore italiano. Il Maghestu aggiunse che ad Harrar era stato formato un grande corteo che si era recato al palazzo del Governatore di quella provincia per mostrargli i macabri trofei. « Fu il quarto giorno, se ben ricordo, che gli aeroplani italiani compirono un'incursione lanciando dei manifesti a firma del generale Graziani in cui era detto circa così : «Avete assassinato un aviatore italiano, violando i principi dell'umanità per i quali i prigionieri sono sacri. Sarete puniti. Seppi allora che l'aviatore si chiamava Minniti. « Poco dopo infatti gli aeroplani italiani bombardarono la regione. L’ambulanza però non subì alcun danno. La bomba più vicina cadde a tre chilometri dalle nostre tende.Alcuni giorni dopo, dietro richiesta del Dott. Sakkani - dato che la zona era pericolosa per la vicinanza degli armati abissini, presi di mira dagli aeroplani italiani - l'ambulanza lasciò Bolali per Giggiga e Harrar. In questa ultima città incontrammo il dott. Abdel Hamid Sald, inviato dal comitato egiziano per la difesa dell’Abissinia F.to ABDEL MOHSEIN EL USCI Noi sottoscritti, Kaamel Aluned e Labib Salamah, membri della missione egiziana, confermiamo pienamente, sotto il vincolo del giuramento, le dichiarazioni fatte dal signor Abdel Mohsein Uisci. In merito al fatto di cui è stato testimone oculare abbiamo raccolto testimonianze concordi da persone degne di fede, in Etiopia.F.to Kamel Hamed F.to. Labib Salamah Noi sottoscritti Tozzi Condivi cav ing. Latino, prof Arduino Albanese, Malesci prof. Pierluigi Subri Ueredah, dichiariamo di aver udita la testimonianza del sig. Abdel Mohsein Uisci, fatta in nostra presenza. F.to LATINO TOZZI CONDIVI F.to ARDUINO ALBANESE F.to PIER LUIGI MALESCI F.to SUBRI UEREDAH F.to FILIPPO ZAMBONI Nel ASD- MAE Etiopia Fondo Guerra, 131/34 è depositato il verbale di una deposizione spontanea fatta da un aiuto farmacista egiziano facente parte della missione sanitaria egiziana di aiuto all’Abissinia che testimonia il martirio del nostro concittadino Tito Minniti medaglia d’oro al valor militare, al quale è intitolato l’aeroporto di Reggio Calabria. Il Verbale faceva parte di un dossier presentato dal Governo italiano del tempo alla Società delle Nazioni per denunciare le efferatezze degli abissini sui militari italiani che cadevano in mano degli etiopici. Infatti il caso dell’aviatore Minniti non fu l’unico relativo alla tortura ed alla barbara uccisione di prigionieri italiani.Non deve sorprendere perciò se a questa barbarie gli italiani reagivano con durezza.
Come conclude la relazione, il caso dell' Eroico Minniti non fu l' unico, ma moltissimi furono i torturati, mutilati e massacrati dai simpatici Etiopi, i quali sembrerebbero non aver perso tale vezzo, secondo il parere degli Eritrei che ben li conoscono e li hanno combattuti in questi ultimi anni. Etiopi che, per esempio, come racconta Arrigo Petacco in "Faccetta Nera" (pag.132), quando il Negus si recava in visita nei villaggi, era preceduto da simpaticissimi bandi dei ras locali che preavvertivano che se solo una spina avesse deturpato la tunica dell' Imperatore, sarebbero seguiti arresti ed impiccagioni.
Ma ad il nostro baldo ammiratore del Regime Schiavista questo non sembra interessare, tant'è che mi scrive:
Fazioso molto più di me è chi difende un'aggressione militare condotta con Irpite e gas asfissianti e un dominio coloniale mantenuto almeno fino al '37 col terrore e coi massacri. Con il Duce che telegrafava a Graziani:
«Per finirla con i ribelli...impieghi i gas. Autorizzo ancora una volta V.E. a iniziare e condurre sistematicamente la politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli E LE POPOLAZIONI LORO COMPLICI»;
«È inteso che la popolazione maschile di Goggetti di età superiore ai 18 anni deve essere passata per le armi e il paese distrutto.»
Bene, veniamo all' Iprite (Irpite - testuale- ma la rabbia e la fretta sono amici del refuso, che perdono. Più grave è l' intervento precedente che parlava di "defoliante". Perchè non l' atomica ?). E' ancora il libro di Petacco a venirmi in aiuto (pag. 11), ricordando che tra la lunga polemica tra Indro Montanelli (peraltro presente sul posto all' epoca come Comandante di un reparto di Ascari) ed il simpaticissimo e già citato Angelo del Boca, cui i frequentatori dei molteplici siti antifassisti si ispirano per denigrare la Nostra Povera Patria parlando dell' uso del gas in Etiopia, intervenne sul Corriere della Sera Sergio Romano citando il rapporto del Capitano dei Marines americani Pedro A. Del Valle, poi diventato un pluridecorato Generale della II Guerra Mondiale, presente in Abissinia come osservatore internazionale. In questo rapporto l' ufficiale di origine portoricana, dopo aver sottolineato che la maschera antigas non era in dotazione all' Esercito Italiano, sostenne che l' Iprite venne usata solo in rarissime occasioni, come rappresaglia per le atrocità commesse contro il citato aviatore Minniti ed altri militi italiani. Solo rarissimi casi che secondo l' ufficiale non rappresentarono un fattore decisivo nel corso della guerra, ed a cui dedicò, nel lungo rapporto, non più di una dozzina di righe.
Questo nonostante i magazzini militari di mezzo mondo fossero pieni di Iprite nel periodo interbellico, pronto ad essere usato dalle varie parti come rappresaglia verso il nemico. Come testimonia, per esempio, il Massacro di Bari del 2 dicembre 1943, che sicuramente il nostro coltissimo contestatore conosce, ma che voglio brevemente riassumere. Dunque quel giorno, i criminali aerei della Luftwaffe, che avevano la pessima abitudine di bombardare le navi nemiche, a differenza degli Alleati che pochissimi mesi prima avevano fatto strage di abitazioni e civili nella vicinissima Foggia (tra l' altro mitragliando i civili in fuga), colsero una grossa vittoria affondando 17 navi angloamericane. Pochissime le case colpite. Ma disgraziatamente una delle navi, la John Harvey, trasportava 100 tonnellate di Iprite, pronta all' uso come deterrente, come ricordato dalla Dottoressa Saini Fasanotti, collaboratrice e ricercatrice dell' Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell' esercito, nonchè autrice del libro "La Gioia Violata" (che avevo citato nella mia risposta come esperta di Diritto Internazionale di Guerra). Iprite che causò la morte di oltre un migliaio di persone:250 civili baresi e oltre 800 militari e personale sanitario. Naturalmente i tedeschi erano all' oscuro del carico di morte alleato (mi sovviene il Mussolini ignaro delle camere a gas, tesi a cui qualcuno non crede...), totalmente top secret. Tant' è che per moltissimi anni gli alleati non resero pubblica la verità.
Passiamo ora alla prima frase imputata al Duce, più volte riscontrabile in rete; il fatto che ci siano tre puntini in mezzo avrebbe dovuto indurre alla prudenza qualcuno, per evitare le pessime figure che continua a voler fare, fidandosi del sentito dire. Infatti il testo completo del telegramma è questo: "Visto che gli abissini continuano ad usare pallottole Dum Dum/STOP/autorizzo V.E./STOP/se lo ritiene necessario/STOP/all' impiego del gas a titolo di RAPPRESAGLIA/STOP/ Esclusa l' Iprite, di cui Mussolini aveva conosciuto durante la Prima Guerra Mondiale gli effetti devastanti. (A. Petacco,pag. 161 op. cit.).
Ed anche le altre frasi sono decontestualizzate dagli effettivi testi dei telegrammi; ma,tuttavia,nella loro crudezza, sono imputabili al clima voluto dai massacri incominciati dagli Etiopi. E giustificate, ahinoi, dal Diritto Bellico allora vigente.
fine prima parte...continua...