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domenica 10 febbraio 2008

Fiume non sarà MAI Rijeka !

Nel marzo 1946, secondo quanto stabilito alla conferenza di Londra del settembre 1945, si avviò l’inchiesta etnico – economica in Venezia Giulia entro i limiti tracciati dalla linea di Wilson.I membri del CLN fiumano, i partiti cittadini e gli onorevoli Riccardo Zanella ed Ossoinack, rivolsero una istanza ai ministri alleati riuniti alla conferenza.In tale documento si ribadiva la necessità di estendere l’inchiesta anche al territorio fiumano, proprio in virtù di quei princìpi etnici in base ai quali si sarebbe poi definita la questione giuliana ed al cui fine era stata istituita l’inchiesta stessa.La richiesta fiumana venne accolta almeno nelle parti riguardanti la situazione del porto fiumano dal 1924 in poi.Gli incaricati dell’inchiesta giunsero a Fiume il 16 marzo, senza preavviso, il che non permise ai lavoratori politici di predisporre, come era avvenuto nell’Istria, manifestazioni propagandistiche. Ci furono invece, nonostante il controllo esercitato dall’OZNA, delle dimostrazioni cittadine in cui si inneggiò all’annessione dell’Italia, e che causarono numerosi arresti che non ebbero seguito solo grazie all’interessamento dei membri della delegazione. Il CLN fece pervenire alla commissione alleata, tramite il console di un paese scandinavo, una lettera cui furono allegati una copia del memorandum inviato il 5 settembre 1945 dal CNL fiumano al capo del governo militare alleato di Trieste colonnello Bowman, una copia del rapporto sullo stato del porto di Fiume, redatto dal dottor Mario Dinelli, ed altri documenti contenenti notizie storiche e politiche sulla città di Fiume.In questa lettera si parlò inoltre esplicitamente del clima di terrore in cui la città viveva ormai dal momento dell’occupazione jugoslava, e che già dal 1943 aveva investito gran parte dell’Istria.L’inchiesta si concluse dopo tre giorni, ed il risultato venne pubblicato a Parigi il 30 aprile. In un documento riportato in Italia dall’Agenzia Ansa ed in altri giornali contemporanei, se ne riassumeva il testo che risultava concordare con i dati scientifici forniti dal dott. Dinelli.Pur sottolineando l’infondatezza delle pretese jugoslave, lasciò aperta la soluzione del confine etnico della Venezia Giulia a quattro proposte, una per ciascuna delle grandi potenze. In questa lettera trovava nuovamente conferma la notizia, di cui si era già data pubblica denuncia precedentemente, che a Fiume imperversava un clima di terrore che costò la vita e la prigionia a migliaia di fiumani, italiani, ed anche di serbi, croati e sloveni.Le epurazioni jugoslave coinvolsero indistintamente cittadini di ogni età, etnia, censo e condizione sociale. I primi ad essere vittime delle esecuzioni e degli arresti da parte jugoslava, furono i membri del partito autonomista. Questo apparve ai titini come l’avversario più pericoloso, essendo un potenziale punto di riferimento per la popolazione italiana, per l’indubbia reputazione antifascista e la considerazione di cui godevano, per il ruolo politico e storico rivestito negli anni precedenti.La mattina del 4 maggio, cessato l’orario del coprifuoco, venne ritrovato il cadavere del dott. Mario Blasich, anziano ed ormai costretto a letto da una paralisi. Nelle stesse ore venne ritrovato anche il cadavere del rag. Giuseppe Sincich, anch’esso prelevato nella notte ed ucciso a colpi di rivoltella. Entrambi erano noti membri della costituente fiumana del 1921.Più avanti, presso il molo S. Marco, venne ritrovato il corpo del direttore dell’ospedale S. Spirito Rado Baucer, croato di sentimenti filo italiani, cui furono sottratti anche i fondi della cassa dell’Istituto, che ammontavano a ben due milioni di lire. Spesso, infatti, queste esecuzioni vennero accompagnate da atti di delinquenza comune. Eguale fine avevano fatto, nella notte, Celliut Antonio, il sig. Bergnaz ed il dott. Nevio Skull, membri responsabili della Resistenza. Nel luglio 1945, sino alla fine dell’anno, si svolsero le elezioni per i comitati sindacali aziendali. L’opposizione, come risulta da quanto pubblicato da “La voce del popolo” nei mesi di ottobre ed i successivi, ottenne i sette decimi dei seggi.Furono eletti Matteo Blasich, Angelo Adam, Mario Terd, Renato Luksich e Delli Galzigna. Il 4 ottobre l’Ozna arrestò Angelo Adam, in procinto di partire per Milano per incontrare i componenti del CLNAI.
Si persero notizie di lui, della moglie, ed in seguito anche della figlia, che aveva intrapreso le ricerche dei genitori. Solo in seguito, insieme all’ammissione dell’avvenuta liquidazione anche di Matteo Blasich e di altri che erano stati eletti, fu data notizia dell’avvenuta fucilazione di Angelo Adam e della sua famiglia.Le elezioni, definite da Luksich Jamini una commedia, si conclusero con la nomina di membri compiacenti il regime, senza che fosse possibile effettuare una verifica dei voti espressi e dell’avvenuto scrutinio. Si era così eliminata ogni traccia di opposizione sindacale nei cantieri navali.

Numerosi furono i fascisti arrestati nei confronti dei quali, in seguito a rapidi processi, venne dichiarata la condanna a morte subito eseguita. Di molti processi non fu mai tuttavia possibile reperire un verbale o atti che ne provassero l’esecuzione.Tra questi, ad esempio, fu arrestato il senatore Riccardo Gigante che, prelevato dalla propria abitazione, fu fatto sfilare alla testa di un corteo di fiumani incatenati, di cui si persero ben presto le notizie. L’accusa di essere fascisti suonò come una condanna a morte: i soli a non essere toccati furono i membri dell’agenzia Gerini, ossia i fascisti fusionisti che sin dall’inizio collaborarono con il CPL.Furono egualmente colpiti gli ex legionari di D’Annunzio, gli irredentisti della prima guerra mondiale, i decorati, gli ufficiali ex combattenti. Numerose sono le testimonianze a riguardo apparse sulla stampa dell’epoca e negli anni successivi.Mancò da parte del quotidiano “La voce del popolo” un qualsiasi riferimento a questi fatti: quale organo del CPL esso riportò infatti, come citato in precedenza, solo discorsi e dichiarazioni di esponenti politici croati più o meno eminenti, in cui il riferimento all’epurazione e alla necessità di perseguire i nemici del popolo fu tuttavia esplicito e con chiari intenti intimidatori.“L’Emancipazione”, giornale del Partito d’Azione, affermò in un commento, che i fatti del 5 maggio non erano altro che il primo dolorosissimo episodio di quella “tragica buffonata che è il dopoguerra”, con evidente riferimento all’atteggiamento delle autorità comuniste e jugoslave in merito al destino della Venezia Giulia.
“L’Emancipazione” curò la pubblicazione di due relazioni riguardanti i fatti istriani dell’immediato dopoguerra e quelli accaduti a Fiume il 3 maggio 1945, redatte dal CNL dell’Istria a da Alessandro Comandini.Nella sua narrazione i fatti fiumani dopo il 3 maggio 1945 sono attribuiti alla volontà jugoslava di eliminare chiunque si fosse opposto alle nuove autorità. Dalla narrazione emerge un senso di giustizia negata supportata da fatti, testimonianze e critiche dei nuovi esponenti politici alla guida della città, che si distinsero per la loro incapacità amministrativa e culturale.Strumento di queste uccisioni fu l’OZNA, la polizia segreta che svolse con estrema precisione e capillarità i propri compiti. L’autonomia di cui L’Ozna godette nei confronti degli organismi militari e dello stesso CPL trova conferma in varie fonti.La propaganda fu esercitata a Fiume con estrema capillarità, al fine di far accettare alla popolazione il fatto compiuto, consolidare il proprio governo e reprimere chiunque non accettasse il nuovo stato di cose. In questa ottica si inquadra l’azione dei lavoratori politici che organizzarono comizi, conferenze e, nei diversi rioni della città, persino “visite domiciliari”. “La Voce del popolo” segnalò quotidianamente tali iniziative, la cui partecipazione fu solo apparentemente facoltativa. L’azione propagandistica, diretta dal FUPL, su cui agiva il controllo sistematico dell’Ozna, non mancò di interessare anche le scuole. Esse divennero, come appare anche dalle testimonianze del preside del liceo locale E. Burich, centri di resistenza e protesta. Si introdusse nelle scuole l’insegnamento della lingua croata e vennero organizzate, nelle ore pomeridiane, a cura dell’UGAG, numerose attività per la gioventù fiumana. Le proteste, le dimostrazioni politiche, le fughe dalle finestre dell’istituto, di cui Burich fu testimone, furono spesso sedate ricorrendo all’azione dei lavoratori politici che si servirono di manganelli e randelli. Gruppi di giovani quali i “Giovani democratici cristiani”, i “Giovani autonomi” e la “Lega del fazzoletto bianco”, così chiamati per il fazzoletto esposto in forma particolare dal taschino della giacca, che fungeva da segno di riconoscimento, organizzarono manifestazioni, pubblicarono e diffusero la stampa clandestina. Solo nel gennaio 1946 furono arrestati numerosi studenti, tra cui ragazzi e ragazze di 14 anni, sospettati di appartenere alla lega. Condivisero la stessa sorte numerosi sacerdoti, ed in particolare i Cappuccini e i Salesiani, che dovettero sopportare processi clamorosi per la loro attività svolta a favore dei perseguitati. Queste sentenze furono emesse in base all’accusa di attività sovversive che costarono a molti sacerdoti la vita o anni di lavori forzati. Questi atti non fecero che ridestare nell’animo della gente i primi eccidi avvenuti dopo l’8 settembre 1943 in numerose zone dell’Istria e a cui Fiume era rimasta parzialmente estranea a causa dell’occupazione tedesca. Di essi non si ebbe, all’epoca, una percezione immediata.Nelle testimonianze successive, ed al momento in cui fu ripristinato il controllo tedesco ed italiano nella zona, esplose allora con tutta la sua drammaticità quali fossero stati i frutti dell’occupazione jugoslava, che durò solo 35 giorni (dal 9 settembre al 13 ottobre 1943).
Le notizie delle FOIBE nelle quali erano stati occultati numerosi cadaveri di vittime delle fucilazioni e deportazioni, cominciarono a circolare timidamente tra quanti, alla ricerca dei propri scomparsi, si recarono dalle autorità locali per ottenere informazioni.

Nel 1945 le vittime ammontavano non più a centinaia ma a diverse migliaia di unità. Vi furono più di 10.000 arresti; circa il numero di quanti vennero “liquidati” restano ancora dei dubbi dovuti alla scarsità di documentazione, cosa che rende difficile stilare una stima certa.Le maggiori carenze si hanno soprattutto per quanto attiene alle fonti jugoslave, in quanto le notizie a riguardo furono debitamente occultate e non si è potuta condurre un’accurata ricerca negli archivi jugoslavi, per la reticenza delle autorità locali.Quanti si recarono presso gli uffici del CPL, parenti od amici, furono essi stessi eliminati, e dunque alle notizie di scomparsa di intere famiglie, spesso si reagì solo con la paura e il dolore. I dati relativi alle vittime italiane sono stati raccolti da diversi enti ed istituti in base alle testimonianze di quanti, fuggiti o sopravvissuti, avevano già appreso la notizia della loro morte o hanno continuato a cercare invano le notizie dei propri cari una volta giunti in Italia o in altri paesi che accolsero numerosissimi profughi.
Nelle fonti jugoslave dell’epoca, l’incriminazione principale fu quella di essere fascisti, il che significò automaticamente l’essere considerato nemico del popolo e quindi passibile di condanna a morte. Il termine “reazionario” o “nemico del popolo” fu così esteso da coprire ogni tipo di dissidenza. Eppure a Fiume stessa l’opera di epurazione non toccò numerosi esponenti del partito fascista, tra cui ad esempio lo stesso direttore del quotidiano “La Voce del Popolo”.La repressione, inoltre, non riguardò solo gli italiani, sebbene si ebbe spesso la sensazione che alla base delle liquidazioni vi fosse un piano programmato di pulizia etnica. L’ondata di terrore che sconvolse l’Istria nel 1945, fu il risultato di una sintesi di diversi elementi. Esso rispose principalmente alla necessità di affermare il nuovo regime epurando, in ogni modo, qualunque forma di dissenso, e la crudeltà con cui ciò avvenne, fu tipica di un regime nascente. Tutto ciò rispondeva ad un progetto per la cui affermazione si rendeva necessaria la distruzione del potere italiano sull’entroterra istriano e della sua sostituzione con un potere partigiano.
L’identità nazionale fu un dato secondario. Nelle piccole e grandi città a prevalenza numerica di italiani, si ebbe la sensazione che tali atti fossero la conseguenza di un odio razziale che fino ad allora non era esploso, ma aveva le sue basi nell’antico conflitto tra il mondo rurale croato ed i centri urbani italiani.Non a caso il movimento di liberazione jugoslavo fondò la sua organizzazione principalmente sui “narodjaci”, ossia i maggiorenti locali esponenti del tradizionale nazionalismo croato, che fu quindi abilmente convertito in un orientamento anti italiano.
A Fiume la maggioranza era italiana, e soprattutto di italiani che chiedevano l’annessione all’Italia o l’indipendenza. Non bisogna inoltre sottovalutare l’importanza delle strutture industriali e delle potenzialità economiche di Fiume, la quale apparve una risorsa per il nuovo Stato, ancora più importante in quanto non si era riusciti ad ottenere il porto di Trieste.A Fiume, infatti, alla repressione politica si associò l’epurazione economica. Essa fu fondamentalmente un’azione politica che mirò a distruggere, attraverso espropri e sequestri, le basi economiche della piccola e media borghesia fiumana, ossia del centro dell’italianità di Fiume. Spostare il confine verso occidente significava inoltre gettare un ponte attraverso il quale portare il comunismo in Europa ed in Italia. L’Istria, quindi, diventava un punto da cui l’Unione Sovietica, la rivoluzione comunista, avrebbe proceduto verso occidente. I requisiti ideali, dunque, che permisero di sfuggire alle liquidazioni slave furono, secondo una definizione di Raoul Pupo “essere fautori dell’appartenenza statuale alla Iugoslavia, essere di obbedienza comunista, ed eventualmente di discendenza slava, e comunque nemici dichiarati dell’Italia fascista e imperialista”. L’impegno maggiore fu rivolto alla costituzione del sistema comunista e a tal fine fu necessario, a Fiume, colpire e privare di risorse, fino alla snazionalizzazione, il gruppo nazionale italiano.
Le condizioni economiche a Fiume peggiorarono drasticamente a causa dell’incapacità amministrativa jugoslava. In base alle dichiarazioni depositate all’Archivio Centrale dello Stato,mancavano i generi alimentari di prima necessità e l’attività portuale e delle aziende era bloccata per la mancanza di materie prime. La sostituzione della lira con la iugolira, il cui valore era pari al 50% della lira stessa, causò licenziamenti, fallimenti, chiusura delle banche e l’immiserimento della popolazione. In questi atti si afferma esplicitamente, inoltre, che il sistema di confisca del patrimonio venne inserito appositamente in ogni condanna.Dopo la firma del Trattato di Pace la situazione a Fiume divenne insostenibile.
Tristemente nota fu la foiba di Obrovo nei pressi di Fiume, in cui risulta siano stati occultati i cadaveri della maggior parte dei fiumani arrestati. La riesumazione, tuttavia, non è stata completamente eseguita a causa della particolare forma della foiba. Non c’è una data precisa in cui si attesta la fine delle uccisioni, né una data da cui si può fare avere inizio il lento, ma sempre più massiccio esodo che portò più di 350.000 giuliano-dalmati ad abbandonare le proprie terre.
Fiume fu la prima città a svuotarsi nel dopoguerra. Nel 1945 essa contava 66.000 abitanti, dei quali 58.000 scelsero di esodare e molti di questi non furono solo italiani, ma appartenevano a diverse etnie. Non è possibile fornire una stima esatta del numero di italiani che abbandonarono Fiume, poiché alcuni profughi vennero considerati italiani o slavi a seconda delle fonti considerate, e proseguirono il loro viaggio per destinazioni diverse dall’Italia.Dal censimento del 1936 risultavano, nei territori dell’esodo, all’incirca 300.000 italiani; nel 1961 la cifra si aggira sui 25.000.

Il diritto di opzione entrò in vigore il 10 febbraio 1948, ma da parte delle autorità jugoslave si cercò con ogni mezzo di impedire questo svuotamento della città, che avrebbe impressionato sfavorevolmente l’opinione pubblica internazionale e depauperato di importanti quadri tecnici qualificati di cui l’industria nascente aveva bisogno. Ai paragrafi 1-4 dell’articolo 19 del trattato di pace, si faceva inoltre esplicitamente riferimento anche ai cittadini che erano passati in Italia precedentemente al trattato. A tale regolamento internazionale, integrato successivamente dalla legge sulla cittadinanza adottata dalla repubblica federativa in Jugoslavia, si aggiunsero poi accordi stipulati tra i due Stati.
Il testo del trattato, concedendo la possibilità di optare solo a coloro la cui lingua usuale era quella italiana, assunse come principio fondamentale quello dell’appartenenza nazionale. Il governo rigettò per iscritto circa 3000 dichiarazioni di opzione nella sola città di Fiume. Le condizioni dell’opzione, inoltre, il cui diritto era esercitatile entro un anno, significarono, per molti, l’immiserimento definitivo. Al momento dell’opzione, infatti, molti furono licenziati e non di rado poi il permesso fu concesso solo ad alcuni componenti familiari, con il preciso intento di spezzare le famiglie o indurle a rinunciare. Chi si vide rifiutare la domanda di opzione potè ottenere lo svincolo della cittadinanza jugoslava dietro pagamento di una tassa di 10.000 dinari e la rinuncia all’indennizzo per i beni abbandonati nei territori ceduti.

Indubbiamente un ruolo di primo piano nella scelta dell' Esodo fu rivestito dalla paura, dall’incubo delle deportazioni e delle foibe. La coscienza, inoltre, dell’instaurarsi di un regime totalitario, il clima di terrore che gravava su tutti, al punto di non potere conversare liberamente per strada senza essere sottoposti agli interrogatori della polizia ed il veder dipendere l’esercizio dei principali diritti umani e la propria libertà da un rapporto che attestasse la buona condotta, furono già motivi sufficienti.
La costrizione, inoltre, di dover accettare un regime comunista significò anche il dover forzatamente subire un nuovo modello economico che fino ad allora aveva significato solo miseria ed impoverimento. Persino i più entusiasti comunisti che dall’Italia si recarono volontariamente in Jugoslavia scelsero di tornare poi indietro delusi dal comunismo di Tito.
Quella dell’esodo fu una scelta che gravò pesantemente sui sentimenti di quanti decisero di optare. La loro coscienza, inoltre, si fece più pesante quando, giunti in Italia, trovarono soprattutto in alcune zone un clima di accusa e disprezzo, anziché di comprensione.
A Bologna i comunisti minacciarono lo sciopero se avessero fatto fermare il treno carico di profughi, per i quali la Pontificia Opera di Assistenza stava preparando un piatto caldo, e che furono così costretti, dopo 24 ore di viaggio, a proseguire fino ai campi di raccolta.
I profughi furono definiti fascisti e la loro scelta attribuita ad “una sporca coscienza fascista”.Mario Pacor, triestino, partigiano e scrittore comunista, nel volume “Confine orientale” edito da Feltrinelli, dedica al problema dei profughi mezza facciata e li definisce “fascisti collaborazionisti fra cui vi furono pochi onesti italiani”.
Nel giudizio di Arturo Carlo Jemolo in “Anni di prova”, e di N. Lombardo Radice su “L’Unità” del dicembre 1964, gli istriani compirono quell’atto in quanto mal consigliati, e fu in fondo attribuibile al loro esodo la colpa della definitiva perdita delle terre istriane. Le testimonianze, ricche di giudizi negativi e positivi, furono e sono innumerevoli.
Il 15 novembre 1946 l’on. Nitti condannò l’esodo e dubitò della veridicità degli eccidi e delle foibe. Ci si chiese persino, fallito il tentativo di contenere l’esodo, se fosse opportuno riunire nei campi profughi così tanti fascisti, e si decise quindi di sparpagliare la gente nei diversi angoli d’Italia. Il 17 luglio 1948 il Comitato Recupero delle Salme degli italiani infoibati informò di aver potuto esumare solo 1266 salme, poiché nessun recupero era stato possibile nelle zone amministrate dalla Jugoslavia.
Nella intervista della giornalista Laura Marchino ad Oskar Piskulic, attivista di spicco del movimento comunista e capo dell’OZNA di Fiume, apparsa dal 24 al 28 luglio 1990 su “La voce del popolo” (quotidiano oggi della minoranza etnica di Fiume) non venne fornito da questi nessuna ulteriore notizia circa la scomparsa di intere famiglie di cui non si era saputo più nulla.Oskar Piskulic ha precisato di non poter fornire alcuna spiegazione in quanto legato da un giuramento comune a tutti i membri della polizia segreta, per cui mai in vita, con alcun mezzo, potrà rivelare quanto di sua conoscenza. Nei confronti di Ivan Motiva ed Oskar Piskulic è stata avviata nel 1995, una inchiesta sui crimini su italiani a Fiume nel 1945 ed oltre, per i quali in particolare vale la definizione di “omicidi in tempo di pace” .Dal 1960, e per tutti gli anni Ottanta circa, l’argomento delle foibe, tuttora discusso, era stato evitato fino a giungere oggi ad una riscoperta di queste voragini che inghiottirono migliaia di persone

1 commento:

Starsandbars/Vandeaitaliana ha detto...

Ecco i commenti:

#1 10 Febbraio 2008 - 13:20

Potresti per favore riportare le fonti da cui hai preso questi dati e informazioni storiche? Grazie.
Simone
utente anonimo
#2 10 Febbraio 2008 - 17:51

Molte fonti sono tratte da siti di esuli Giuliano Dalmati.
Altri da alcuni numeri di Candido degli anni '70 che posseggo addirittura rilegati (copertina NERA !).

Altri da una rivista di nome "Aviazione Marina" sempre degli anni '70.
Vandeaitaliana