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sabato 9 febbraio 2008

Il coraggio di un' Italiana: Maria Pasquinelli.

Maria Pasquinelli.

Maria Pasquinelli (Firenze, 1913) si era diplomata maestra elementare e successivamente laureata in pedagogia a Bergamo. Fascista fervente, frequentò la Scuola di Mistica Fascista. Nel 1940 si era arruolata volontaria crocerossina al seguito delle nostre truppe in Libia. Era animata da un fervente amore per la patria, che le faceva trascurare gli affetti sentimentali e familiari. Sul fronte libico notò "l'insufficiente partecipazione al combattimento di chi l'aveva predicato" e il basso morale delle truppe "non illuminate da alcun ideale". Nel novembre 1941 lasciò l'ospedale di El Abiar (a 40 Km da Bengasi), dove lavorava, per raggiungere la prima linea travestita da soldato con la testa rapata e documenti falsi. Fu scoperta, riconsegnata ai suoi superiori e rimpatriata in Italia. Nel gennaio 1942 chiese di essere inviata come insegnante in Dalmazia e per qualche tempo insegnò l'italiano a Spalato (allora annessa all'Italia nel Governatorato di Dalmazia).
Dopo l'8 settembre 1943, e le stragi di italiani compiute in Dalmazia ed Istria dai titini, aiutó a recuperare le salme dei militari e a documentare le atrocità delle foibe.
A Spalato trovò una fossa comune dove erano sepolti 200 militari della "Bergamo" e partecipò al recupero di altre centinaia di infoibati.
Stabilitasi a Trieste, subissò di memoriali e di denunce le autorità della RSI. Cercò di stabilire contatti tra la Decima Mas e i partigiani della "Franchi" e della "Osoppo" col proposito di costituire un blocco per la difesa dell'italianità nel confine orientale. Per questa attività venne arrestata dai tedeschi e minacciata di deportazione. Fu salvata da un intervento personale di Junio Valerio Borghese.

La mattina del 10 febbraio 1947 il brigadiere generale W. De Winton (comandante della guarnigione britannica di Pola) lasciò di buon ora il suo alloggio. Lo attendeva una giornata impegnativa. In quelle stesse ore a Parigi si stava firmando il trattato di pace da parte dei rappresentnati del governo italiano ed a lui sarebbe toccato il compito di cedere l'enclave di Pola alla Jugoslavia.
Quella mattina faceva molto freddo, c'era una bora gelida che spazzava le strade della città che pareva in disarmo, le luci dei bar erano spente, le saracinesche dei negozi abbassate e gruppi di persone si affannavano imprecando intorno a carri e carretti colmi di masserizie. I cittadini di Pola si erano illusi nei venti mesi di presenza di militari alleati di sfuggire al destino di passare sotto la Jugoslavia, destino che aveva già colpito gli italiani di quasi tutta l'Istria e della Venezia Giulia.
Ma ora bisognava fare i conti con la realtà: per espresso desiderio, il passaggio di poteri sulla città di Pola avrebbe avuto luogo in concomitanza con la firma del trattato di pace. Per l'occasione, la guarnigione britannica era stata schierata davanti alla sede del comando ed il generale De Winton fu invitato a passarla in rassegna.
La cerimonia si svolse sotto la pioggia e davanti a pochi curiosi dai quali si levarono mormorii di disapprovazione e qualche grido ostile: i polesani si sentivano abbandonati e traditi dai loro protettori.
De Winton stava avanzando verso il reparto schierato quando, dalla piccola folla presente, si staccò la Pasquinelli che si diresse verso l'ufficiale. Fu questione di un istante: estrasse dalla borsetta una pistola e fece ripetutamente fuoco senza pronunciare una sillaba.
Tre proiettili colpirono al cuore il generale che morì sul colpo, un quarto colpo ferì il soldato che aveva cercato di proteggerlo.
Per qualche giorno le autorità militari alleate mantennero il massimo riserbo. Del delitto furono lasciate circolare le versioni più strampalate: isterismo, delitto passionale, provocazione fascista o titina e così via.
Grazie ad Indro Montanelli, presente a Pola come inviato del Corriere della Sera, fu possibile conoscere la vera motivazione dell'attentato che spiegava le ragioni del delitto.
In tasca della Pasquinelli venne trovato un biglietto-confessione nel quale spiegava le ragioni che l'avevano portata a compiere quel gesto. In questo biglietto dopo un preambolo sull'italianità dell'Istria e sul sangue versato dai martiri italiani si leggeva: "Io mi ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi i quali, alla Conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d'Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o con la più fredda consapevolezza, che è correità, al giogo jugoslavo, sinonimo per la nostra gente indomabilmente italiana, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio"
Dopo l'attentato, che da parte della stampa venne giudicato come un "rigurgito fascista", il corrispondente da Pola dell'Associated Press Michael Goldsmith scrisse:
« Molti sono i colpevoli, i polesani italiani non trovano nessuno che comprenda i loro sentimenti. Il governo di Roma è assente, gli slavi sono apertamante nemici in attesa di entrare in città per occupare le loro case, gli Alleati freddi ed estremamente guardinghi. A questi, specie agli inglesi, gli abitanti di Pola imputano di non avere mantenuto le promesse, di averli abbandonati. »
Maria Pasquinelli fu processata due mesi dopo il fatto dalla Corte Militare Alleata di Trieste. Il dibattito si svolse senza tumulti né colpi di scena. L'imputata si dichiarò colpevole e spiegò le ragioni che l'avevano indotta a compiere l'attentato. Una sola volta l'aula fu fatta sgombrare dal presidente Chapman. Accadde quando il difensore avv. Giannini, invitato dal presidente ad adeguarsi alla procedura seguita dalla Corte alleata, rispose:
« Prima di ogni altra cosa, signor presidente, io mi considero un italiano che difende un'italiana »
Nell'aula il pubblico applaudì e si udirono grida "Viva l'Italia". Fu allora che l'aula venne fatta sgombrare. Il 10 aprile la Corte alleata pronunciava la sentenza che la condannava a morte, l'imputata si raccolse in silenzio, il pubblico rumoreggiò e le donne scoppiarono in singhiozzi. Il giorno seguente Trieste fu inondata da una pioggia di manifestini tricolori sui quali era scritto:
« Dal pantano d'Italia è nato un fiore: Maria Pasquinelli »
In seguito, la pena capitale fu commutata nel 1954 in ergastolo e fu trasferita nel penitenziario di Perugia. Nel 1964 tornò in libertà, ma non ha mai concesso interviste. Maria Pasquinelli ha cercato di farsi dimenticare da allora e tuttora vive a Bergamo.

2 commenti:

Starsandbars/Vandeaitaliana ha detto...

Ecco i commenti:

Starsandbars/Vandeaitaliana ha detto...

#1 10 Febbraio 2008 - 14:03

sei davvero pessimo

pizz
utente anonimo
#2 10 Febbraio 2008 - 17:41

Lo so, Pizzì...

:-) !
Vandeaitaliana