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sabato 21 ottobre 2006

Quando gli anticlericali parlano a sproposito.

Ho visto in giro, anche in Tocquevile, soprattutto da parte dei soliti noti lib/lab/rad , un'interessamento inedito alle cose di Chiesa, con un levar di scudi per il Cardinal Tettamanzi,spalleggiati dal "Corrierino", per quella frase: "E' meglio essere Cristiano senza dirlo che proclamarlo senza esserlo", intesa come un attacco agli atei devoti ed anche ai neo-con. Mi fa molto piacere vedere attaccati laici come Marcello Pera da parte di chi, a parole,dovrebbe far parte della CdL. Ma che così facendo si pone automaticamente nell' alveo della sinistra. Mi fa piaciere, perchè svelano il loro vero volto: Pera è uno delle colonne portanti e pensanti della Coalizione che , attraverso le piazze, si sta già preparando a tornare alla testa del Paese . E chi attacca Pera, attacca Berlusconi.

Consiglieremmo però maggior prudenza a certi anticlericali nel parlar di cose di Chiesa, senza averne la dovuta conoscenza, e soprattutto non conoscendo il reale peso di Benedetto XVI all' interno della stessa. Che a Verona ha ribadito che in Italia "è sentita con crescente chiarezza l'insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un'etica troppo individualista", e dunque si avverte "la gravità del rischio di staccarsi dalle radici cristiane", Benedetto XVI ha parlato con attenzione e rispetto dei cosiddetti «atei devoti»:"Questa sensazione, che è diffusa nel popolo italiano, viene formulata espressamente e con forza da parte di molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede."

Inviterei questi soloni anticlericali a leggersi l' intervento di Ratzinger a Verona , compreso il passo contro "la nuova ondata di Illuminismo e Laicismo" per capire la forza Millenaria di questo Papa, non disposto a retrocedere di un passo davanti a certe aperture anti-Cattoliche di una parte sempre più minoritaria di relativisti.

E voglio aggiungere inoltre una frase del santo Padre: "Occorre anche fronteggiare, con pari determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale. La testimonianza aperta e coraggiosa che la Chiesa e i cattolici italiani hanno dato e stanno dando a questo riguardo sono un servizio prezioso all’Italia, utile e stimolante anche per molte altre Nazioni. Questo impegno e questa testimonianza fanno certamente parte di quel grande "sì" che come credenti in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio. " Più chiaro e saldo di così... Com' è che si dice: non c' è trippa per gatti.

Aggiungo la risposta di Giuliano Ferrara, altro ateo devoto, al Cardinal Tettamanzi:

"Eminenza reverendissima, Dionigi cardinale Tettamanzi, arcivescovo di Milano, da molto tempo una parte della chiesa impegna le proprie energie a polemizzare, ammonire, mettere in guardia i fedeli da un pericolo: ci sono dei laici, si dice, e perfino degli atei, che invece di convertirsi e condurre una vita cristiana nelle parrocchie, svolgendo la funzione propria del laicato cattolico secondo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II e nel quadro della dottrina sociale della chiesa, tirano in ballo Dio e abusano del nome di Cristo Gesù per scopi poco chiari, presumibilmente politici nel senso più deteriore e partigiano del termine, contraddicendo ogni ottimismo, ogni speranza, ogni senso della differenza cristiana che è fatta di spirito di accoglienza, di fraterno dialogo tra le religioni, di amore e di pace fra tutti gli uomini di buona volontà.

Nella sua prolusione a Verona, Ella ha riassunto questo monito nell’affermazione, paurosamente tautologica e dunque vuota di senso nonostante la santa attribuzione antiochena, che è “meglio essere cristiani senza dirlo che proclamarsi cristiani senza esserlo”. Se l’alternativa fosse tra un cristianesimo muto e un cristianesimo impostore, lei avrebbe ragione nello scegliere l’umiltà privata della vita cristiana che perde la parola e rifiuta la cultura, ma il Suo encomiabile ottimismo antropologico, la Sua convinzione che la dimensione della crisi contemporanea vada superata con atti e iniziative di buona volontà nel solco di una dottrina conciliare impermeabile alla storia in cammino, e a volte anche in corsa con la perdita di senso, si darebbe la classica zappa sui piedi. Ci sarebbe poco da stare allegri.

Dirsi cristiani senza esserlo, eminenza, è la parafrasi di un saggio celebre di un filosofo napoletano del secolo scorso, il laico e liberale Benedetto Croce, che le consiglio di rileggersi. Vedrà che lì non c’è impostura, ma una base interessante per il dialogo tra fede e ragione che, senza escludere e anzi per inverare il progetto di carità che è il succo del cristianesimo, è oggetto della cura premurosa e appassionata di Roma da oltre un quarto di secolo. Un dialogo al quale si sono appellate la “Veritatis splendor”, la “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II e l’intera opera teologica e pastorale di Joseph Ratzinger e di Benedetto XVI, che come Ella sa bene sono la stessa persona.

Anche il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinal Ruini, ha manifestato un sereno e distaccato interesse, più volte, per le convergenze possibili, in materia di ragione laica inclusiva del ruolo pubblico della fede, in materia di criteri etici non negoziabili, con quelle tendenze “culturali” che nel mondo occidentale e particolarmente in America e in Italia (ma la Francia sta prendendo anch’essa lo slancio) si vanno affermando con modalità e a stadi di sviluppo diversi. Se il Suo discorso contro l’impostura pseudocristiana riguardasse politici maldestri, come il presidente del Senato nella scorsa legislatura, che hanno invocato l’amicizia degli ecclesiastici, e perfino del Papa, a scudo protettivo per beghe di cortile politico in quel di Lucca, si abbia tutta la nostra comprensione, ma è un de minimis che ci farebbe soltanto perdere tempo.

Se invece nelle Sue parole si riverberasse una scelta favorevole al cattolicesimo cosiddetto democratico, quello che con un linguaggio durissimo censurava ieri un ex presidente della Repubblica noto per i suoi fervori e furori e malumori di credente e di fedele e di cattolico liberale ribelle, allora si tratterebbe di una scelta politicoecclesiastica legittima in favore del partito dei cattolici adulti, ed è inutile mascherarla da protezione della genuinità della fede contro le intromissioni della politica. In ogni caso, per quanto conti, noi nel nostro piccolo non c’entriamo un bel nulla con queste fobie, imposture e mascheramenti.

Noi cosiddetti “atei devoti”, cioè credenti e non credenti che non possono non dirsi cristiani e si sono autorifilati un nomignolo falso e provocatorio, conduciamo un limpido discorso pubblico, fatto di ascolto e di parola modesta ma viva, mai di rassegnazione e di autocensura, il cui scopo non è quello di essere legittimati dai preti o legittimare il ruolo pubblico della religione come elemento di un’agenda di bassa cucina politica. Non facciamo corridoio, non chiediamo udienza, siamo aperti al dialogo o al rigetto polemico nella chiesa e delle chiese neosecolariste e postsecolariste con equivalente serenità e autonomia di spirito.

Ci sembrò interessante la “Dominus Iesus”, e la pubblicammo perché se ne discutesse. Ci sembrò importante il Mea culpa giubilare, e ne parlammo liberamente. Amammo Giovanni Paolo II, e dicemmo il nostro amore che si nutriva di mille ragioni, comprese quelle legate alla libertà politica nel mondo e alla riaffermazione non dogmatica, ma corporale e perfino atletica, dell’identità ebraico-cristiana in occidente. Ci stimolano le esperienze del laicato movimentista, quelle di alta pedagogia e modernissime di un don Giussani, ma anche quelle orientalistiche di un Sant’Egidio o i carismi febbricitanti che parlano di un’apostasia dell’Europa da combattere (neocatecumenali).

Ci appassiona l’elaborazione culturale e dottrinale di quello che consideriamo uno dei maggiori pensatori cristiani a cavallo del secolo, Joseph Ratzinger, che abbiamo salutato con un applauso amabile dopo la sua elezione al soglio petrino, di cui eravamo intimamente certi. Ma ci piace anche discutere con i suoi critici, ammiriamo la cocciutaggine conciliare della scuola di Bologna, l’erudizione in fatto di storia cristiana dei suoi maestri e allievi, spaziamo liberamente e criticamente dove ci porta la testa, se non il cuore. Inoltre, e questo Ella dovrebbe saperlo bene, vista la Sua formazione di bioeticista cattolico, abbiamo a cuore la battaglia non contro la legge sull’aborto, ma contro la banalizzazione culturale dell’aborto, la sua trasformazione in diritto liberale, e contro una concezione creatrice, nel senso tecno-scientista del termine, anziché creaturale dell’esistenza umana contemporanea. Abbiamo poi, e mal ce ne incolse per via degli interessati travisamenti politici conseguenti, difeso il diritto di un cattolico a fare il commissario europeo con le sue idee, una volta stabilito il confine tra morale e legge nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche. E abbiamo avviato con un po’ d’anticipo polemiche sapide sullo zapaterismo, sul mondo incantato e perduto di un poeta come Almodóvar, quel cervantino senza Cervantes che ha dato il suggello estetico necessario al progetto di scristianizzazione totale della famiglia e del matrimonio, fino alla derubricazione zapaterista dei nomi di moglie, marito, padre e madre, sostituiti da coniuge A e B e progenitore A o progenitore B.

Infine, non ci piace la torsione dello spirito pubblico europeo in direzione della Mecca, non perché siamo insensibili al fascino spirituale dell’islam o banalmente impauriti dallo straniero, ma perché pensiamo che integrazione e composizione degli scontri in atto tra faglie di civiltà debbano realizzarsi, per così dire, senza vincitori né vinti. E se proprio un vincitore avesse da esserci, vincitrice ha da essere quella civiltà che incorpora, secondo la lezione di Regensburg, ebraismo, grecità e cristianesimo in un concetto di persona e di diritto compatibile con una società aperta.

Con osservanza, e nella speranza che il Suo alto monito, sincero nelle intenzioni e nelle paure, sia accolto criticamente, come occasione di riflessione, dai laici e sacerdoti riuniti in Verona."



3 commenti:

Starsandbars/Vandeaitaliana ha detto...

Ecco i commenti:

Starsandbars/Vandeaitaliana ha detto...

#1 22 Ottobre 2006 - 00:01

Condivido ed apprezzo. Ciao!
Lontana
mammamia
#2 22 Ottobre 2006 - 10:39

Che dire poi di quei "cattolici adulti" che sono la foglia di fico dei comunisti ?
E che dire invece di Oriana Fallaci che lascia in eredità al Vaticano la sua biblioteca ?
Come al solito i radicali vogliono mettere becco in questioni che non conoscono e decidere anche per gli altri: e sarebbero dei "liberali" ?
Monsoreau

Starsandbars/Vandeaitaliana ha detto...

#4 23 Ottobre 2006 - 08:31

Non esageriamo, basterebbe restituire il Lazio escluso la provincia di Rieti, al Vaticano.Prima di Porta Pia...
Vandeaitaliana
#5 23 Ottobre 2006 - 15:49

Non esageriamo. Il Papato ha diritto ha possedere territori solo finchè non verrà il suo legittimo difensore, l'Impero, a rivendicarle in quanto massima autorità temporale, sorella e scudo della Chiesa, massima autorità spirituale.
Chrisus
#6 23 Ottobre 2006 - 17:30

Con tutto il rispetto per l'Impero, Gregorio VII sentì la necessità di riaffermare la "iustitia" ; l'obbedienza a Dio è "iustitia" , e quindi anche l'Imperatore deve obbedienza al Papa perché anch'egli è un fedele della Chiesa e deve comparire davanti al Giudizio di Dio. Quando l'Imperatore si ribellò al Papa divenne indegno di ricoprire la sua carica, e come aveva fatto il profeta Samuele nei confronti di Saul, il Papa dovette scegliere un altro Imperatore.Enrico IV si salvò in extremis con la gita a Canossa...
Vandeaitaliana
#7 24 Ottobre 2006 - 09:41

Mai messo in dubbio il primato del Pontefice, ma solo in ambito spirituale. Purchè le azioni dell'Imperatore siano conformi alle leggi di Dio, ha la massima libertà di mezzi per assicurare la pace materiale a tutti gli uomini. Cfr. De Monarchia di Dante Alighieri.
Chrisus
#8 26 Ottobre 2006 - 16:03

Lungi da me riaprire la Lotta per l' Investiture, ma credo che il Lazio senza Rieti possa essere di contrappeso a tutte le angherie fatte dal Piemonte alla Santa Sede...
Vandeaitaliana